La conciliazione delle controversie: un metodo antico con un cuore moderno
di Alessandro Bruni Avvocato; arbitro e conciliatore in Italia ed all’estero; docente di “Mediazione e Conciliazione”, “Gestione strategica delle Risorse Umane” e “Comunicazione interpersonale e Conflittualità” nell’Accademia Internazionale delle Scienze della Pace, ROMA; docente di "Conciliazione professionale" accreditato dal Ministero della Giustizia; autore del primo ed unico libro italiano sui vantaggi della conciliazione stragiudiziale professionale.
Articolo pubblicato su Mediares. Semestrale sulla Mediazione. N° 5/2005 (gennaio-giugno), pp. 163-187. Edizioni Dedalo, Bari.
1. La storia della conciliazione
Nel 1967 Paul Watzlawick, Janet H. Beavin e Don D. Jackson, scrivevano il famoso saggio “Pragmatica della comunicazione umana”, in cui si mettevano a punto i c.d. cinque assiomi della comunicazione, tra cui quello secondo il quale “non si può non comunicare”. Cioè nella sua vita, ogni essere umano non può fare a meno di comunicare le sue emozioni, le sue idee, il suo comportamento, i suoi stati d’animo, ecc. Ogni essere umano comunica, sempre, soprattutto quando inevitabilmente si creano dissidi con altri come lui; è per questo che un primo assioma della convivenza sociale potrebbe essere: “non si può non discutere” oppure “non si può non confliggere”.
Proprio perché la discussione, il contrasto, la disputa, sono innati nella natura dell’uomo, anche i metodi per poter dirimere le liti sono vecchi quanto il mondo: la conciliazione delle controversie ne è un esempio.
La storia della conciliazione, infatti, si perde nella notte dei tempi. Nelle società patriarcali i membri di spicco di ogni clan familiare erano usi essere interpellati nel caso nascesse la necessità di dirimere controversie insorte tra membri del clan stesso. Essi ponevano in essere la loro opera di facilitatori (mai impositori di idee) e di assistenti per le parti in lite, che rimanevano comunque le sole a poter prendere una decisione.
Nella cultura orientale, quella giapponese nello specifico affidava al capo del villaggio il compito di risolvere, con la conciliazione, le liti insorte tra le persone. A tutt’oggi l’esiguità del numero di giudici e avvocati rispetto ad altri paesi industrializzati dà ragione di una tensione culturale innata nella popolazione giapponese, tendente alla soluzione informale delle controversie piuttosto che a quella giudiziale. In Cina, poi, la cultura del confucianesimo – secondo la quale, qualora si fosse interrotta la naturale armonia che regna sovrana tra le persone, solo con l’accordo e la persuasione morale la stessa si sarebbe dovuta ristabilire – ha sempre preferito soluzioni pacifiche e conciliative delle dispute, piuttosto che soluzioni formali legate alle aule dei tribunali. Al giorno d’oggi, esistono in Cina i c.d. “comitati di cittadini e comitati di contadini”che, rispettivamente nelle città e nelle campagne, si pongono come “organizzazioni autonome di base delle masse” - art. 111 Cost. cinese del 1982 -. La stessa Costituzione prevede che, nel loro ambito, siano istituiti dei “Comitati di Conciliazione Popolare” fra i cittadini, con il compito di gestire la composizione delle liti di minore rilievo.
Fra gli antichi romani era usanza cercare di risolvere una controversia attraverso un componimento amichevole della lite prima di recarsi davanti al pretore che, nel caso in cui le parti si fossero riappacificate, avrebbe confermato con la sentenza le loro volontà.
Anche la Chiesa[1], soprattutto in Occidente, ha avuto un ruolo molto importante per la diffusione della cultura della conciliazione come risoluzione di controversie: dal parroco, invitato a mediare le controversie tra i suoi parrocchiani, fino alle vere e proprie conciliazioni pontificie - a carattere squisitamente diplomatico - mediante le quali i Papi o i loro legati svolgevano la propria opera al fine di definire controversie tra Stati diversi.
2. La conciliazione nei tempi moderni
La conciliazione dei tempi moderniè un istituto originario del mondo anglosassone che individua il tentativo libero e volontario, ad opera di due o più parti, di raggiungere un accordo negoziato con l’aiuto di un terzo imparziale, neutrale ed indipendente: il mediator. La traduzione italiana di “mediator” non è però “mediatore”, bensì “conciliatore”. Questo perché il nostro ordinamento giuridico conosce già la figura del mediatore d’affari e lo contempla all’art. 1754 e segg. del codice civile: “è mediatore colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza”.
I paesi anglosassoni hanno sviluppato, oramai da più di un trentennio, una notevole quantità di tecniche per la gestione e la soluzione delle controversie, che chiamano ADR - Alternative Dispute Resolution (risoluzione alternativa delle controversie) - e che registra tassi di successo molto elevati: fonti inglesi (ADR Group, Centre for Dispute Resolution) parlano dell’80-90% di soluzioni raggiunte in tempi veramente brevi, da uno a due mesi al massimo, con altrettanti elevati tassi di rispetto degli accordi presi, perché fondati su una decisione definita dalle parti, sulla convenienza reciproca delle parti stesse nel prenderla e sulla soluzione concreta dei loro interessi.
Il Governo Federale americano promosse la mediazione in ambito commerciale già con la Intestate Commerce Act del 1887, legge sul commercio tra Stati, che istituì un meccanismo per la volontaria sottoposizione delle controversie sindacali tra le compagnie ferroviarie e i loro dipendenti[2]. Nel 1925 il Congresso approvò la Federal Arbitration Act, legge sull’arbitrato federale, che disciplina l’arbitrato di controversie su contratti commerciali. Più di recente i tribunali federali hanno imposto un tentativo di arbitrato per conflitti sindacali, violazioni dei diritti civili, frodi pensionistiche e casi anti-trust. E’ però nel secondo dopoguerra, e soprattutto a partire dagli anni ’60, che in America si è assistito al fiorire della mediazione e dell’arbitrato. Una crescita, costantemente in aumento, di casi risolti tramite queste procedure è stata appoggiata, recentemente, nel 1998, anno della modifica del Titolo 28° della Carta dei Diritti (riguardante la risoluzione dei conflitti), stabilendo che gli strumenti A.D.R. hanno la prevalenza su qualsiasi procedura contenziosa. In molti casi, infatti, prima di potersi rivolgere al giudice ordinario, le A.D.R. sono un passaggio preventivo obbligato.
Sulla spinta di un tale successo anche l’Unione Europea e diversi paesi hanno stimolato interventi legislativi ad hoc, regolamentando le principali caratteristiche dei procedimenti di ADR.
Il 2 luglio 2004 è stato presentato il Codice europeo di condotta per mediatori che stabilisce una serie di principi ai quali, sotto la propria responsabilità, i singoli mediatori possono spontaneamente aderire. Tale codice potrà essere applicato a tutti i tipi di mediazione sia in materia civile che commerciale.
Da ultimo, il 22 ottobre 2004 è stata emanata una Proposta di Direttiva CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale con alcuni obiettivi ambiziosi: garantire un migliore accesso alla giustizia ed un’efficace relazione tra mediazione e procedimenti civili; promuovere il ricorso alla mediazione e la relazione con l’organizzazione dei sistemi giudiziari degli Stati membri.
3. Il tentativo di conciliazione in Italia
Anche in Italia, oramai, sta prendendo sempre più piede la consapevolezza della necessità di poter risolvere le controversie insorgenti o insorte tra soggetti tramite il ricorso a metodi “alternativi” alla giustizia ordinaria. Ci si riferisce anzitutto, e soprattutto, al tentativo di conciliazione, che si inserisce a pieno titolo tra i metodi di risoluzione alternativa delle controversie (Alternative Dispute Resolution, ADR) e per il quale si cercherà di evidenziare quali siano gli innumerevoli vantaggi ad esso ascrivibili.
Sebbene nell’esperienza giuridica italiana il tentativo di conciliazione sia presente in vari settori, sia come obbligatorio e “ante causam” (es: nel giudizio del lavoro), che come mera possibilità attribuita a determinati soggetti[3], la conciliazione delle controversie gestita dalle Camere di Commercio e dagli organismi privati presenti sul territorio italiano è procedimento ben diverso. Sono differenti il “setting” in cui si opera, le regole di procedimento, i professionisti chiamati a svolgere il tentativo di conciliazione, le tecniche utilizzate: in una parola questo tipo di conciliazione è peculiare rispetto ad ogni altro tipo di conciliazione che si trova all’interno dei nostri codici e delle nostre leggi.
La crisi della gestione della giustizia presso i Tribunali italiani è nota a tutti: enti e aziende che affrontano cause civili ordinarie devono mettere in preventivo tempi lunghi, costi solitamente elevati e decisioni che spesso non li gratificano abbastanza e che sovente sono soggette a impugnazioni.
4. Definizione e legislazione per le Camere di Commercio in tema di conciliazione
La conciliazione che ci apprestiamo ad analizzare non rappresenta una scelta minore o in contrasto rispetto allo strumento giudiziario, ma è una scelta differente, di forte valore, anche per l’autorevolezza, l’indipendenza e la professionalità dei conciliatori.
Proviamo preliminarmente a darne una definizione: la conciliazione è una negoziazione facilitata che si svolge sotto il controllo di un terzo, il conciliatore, con lo scopo di guidare le parti al raggiungimento di un accordo satisfattorio per entrambe, con la auspicata possibilità di porre le stesse parti in una situazione migliore di quella in cui versavano in precedenza.
Risolvere le controversie negoziando con la controparte è di gran lunga preferibile, per risparmiare tempo e denaro e, da ultimo ma non ultimo, per ripristinare relazioni compromesse, con l’auspicio di un miglioramento per il futuro. Per negoziare in maniera efficace si hanno solitamente due vie: o si dispone di risorse adatte, cioè di uno staff di negoziatori adeguatamente formati ed uffici di gestione del contenzioso che conoscano molto bene le tecniche di negoziazione più efficaci, oppure si chiede l’intervento di terzi neutrali ed imparziali, competenti nella facilitazione di negoziazioni altrui: i conciliatori o mediatori (distinti sia dai giudici che dagli arbitri – che comunque giudicano – ma anche dai mediatori d’affari).
4.1 La composizione delle controversie presso le camere di
commercio
Il legislatore italiano, con la Legge 29 dicembre 1993 n° 580 (“Riordinamento delle Camere di Commercio, industria, artigianato, agricoltura”), nell’ottica di individuare la conciliazione come strumento di regolazione del mercato, ha chiesto proprio alle Camere di Commercio di istituire Commissioni di conciliazione per la risoluzione delle controversie tra imprenditori e fra imprenditori e consumatori e utenti[4]. Per offrire un tale servizio, la maggior parte delle Camere di Commercio, dall’inizio del 2003, ha adottato un medesimo regolamento tariffario e le stesse norme di comportamento dei conciliatori sanciti dall’Unione delle Camere di Commercio (Unioncamere).
Successivamente, la Legge 481/1995, rubricata “Norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità. Istituzione delle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità”, ha disposto la possibilità di rimettere la composizione di controversie tra utenti e gestori dei servizi a commissioni arbitrali e di conciliazione istituite presso le Camere di Commercio. In tali casi, il verbale di conciliazione o la decisione arbitrale costituiscono titolo esecutivo di per sé, non essendo necessaria la previa dichiarazione di esecutività da parte del giudice.
La legge 18 giugno 1998, n° 192 regolante la “Disciplina della subfornitura nelle attività produttive”, ha stabilito un tentativo obbligatorio di conciliazione presso la Camera di Commercio del luogo in cui ha sede il subfornitore[5].
La Legge 281/1998, recante “Disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti”, ha previsto che gli organismi pubblici indipendenti, le associazioni rappresentative di consumatori ed utenti e le organizzazioni riconosciute in un altro Stato membro dell’Unione europea[6], possano attivare un tentativo di conciliazione presso le Camere di Commercio, precedentemente ad un giudizio ordinario. Il processo verbale di avvenuta conciliazione avrà valore di titolo esecutivo solo dopo essere stato omologato dal giudice.
Successivamente, la Legge 135/2001, in materia di “Riforma della legislazione nazionale del turismo”, ha disposto la costituzione ad opera delle Camere di Commercio di commissioni arbitrali e conciliative aventi ad oggetto la risoluzione di controversie riguardanti la fornitura di servizi turistici tra imprese e tra imprese e consumatori ed utenti. La legge fa salva la possibilità di avvalersi, da parte degli utenti, di associazioni di consumatori.
5. La conciliazione commerciale nella nuova
regolamentazione del diritto societario
5.1. La conciliazione giudiziale
Di recente, la nuova disciplina societaria e bancaria di cui al D. Lgs. 17 gennaio 2003, n° 5[7], in attuazione alla delega di cui all’art. 12 l. 3 ottobre 2001, n. 366, prevede, al Titolo VI°, la possibilità per le materie societarie di poter risolvere le controversie con la previsione di un tentativo stragiudiziale di conciliazione tra le parti.
Già nella legge delega il legislatore aveva manifestato il suo interesse al potenziamento delle procedure di risoluzione alternativa delle controversie. In sede governativa, poi, sono stati recepiti a pieno tali intenti con l’elaborazione del D. Lgs. in esame, in vigore da gennaio 2004. Tale normativa, all’art. 1, prevede la possibilità che venga istaurato un tentativo di conciliazione (giudiziale o stragiudiziale) per una serie di controversie che si riferiscono anche al trasferimento di partecipazioni sociali ed ogni altro negozio inerente a quest’ultime, ai rapporti relativi all’intermediazione mobiliare, ai rapporti tra banche e al credito per le opere pubbliche.
Con riguardo alla conciliazione giudiziale, invece, il 2° comma, lett. e) aveva previsto una delega governativa al fine di stabilire precise regole di procedura, aventi ad oggetto la “possibilità per il giudice di operare un tentativo preliminare di conciliazione, suggerendone espressamente gli elementi essenziali, (…) e, in caso di mancata conciliazione, tenendo successivamente conto dell’atteggiamento al riguardo assunto dalle parti ai fini della decisione sulle spese di lite”.
In materia di conciliazione durante il giudizio, l’art. 9, 2° comma, D. Lgs. 5/2003 ha previsto che “nell’istanza di fissazione dell’udienza o nella nota di precisazione delle conclusioni di cui all’art. 10, comma 1, ciascuna parte può indicare le condizioni alle quali sarebbe disposta a conciliare la lite. Questa indicazione non pregiudica in alcun modo la decisione della causa”. Il successivo art. 12, 3° comma, lett. d) prevede, poi, che il decreto di fissazione dell’udienza debba contenere, qualora appaia opportuno, l’invito delle parti “a comparire personalmente all’udienza per l’interrogatorio libero e il tentativo di conciliazione, nonché, ove taluna di esse abbia dichiarato le condizioni alle quali sia disposta a conciliare, l’invito alle altre parti a prendere all’udienza esplicita posizione sulle stesse”. Con la previsione inserita nell’art. 16, 2° comma, è disposto che “quando nel decreto è contenuto l’invito alle parti a comparire di persona”, il giudice possa interrogare liberamente le parti, esperendo, se del caso, un tentativo di conciliazione, “eventualmente proponendo soluzioni di equa composizione della controversia”. La norma prosegue col decretare che “nel relativo verbale è dato comunque atto delle posizioni assunte dalle parti. Ove il tentativo non abbia esito positivo, il tribunale può tenerne conto ai fini della distribuzione delle spese di lite, anche ponendole, in tutto o in parte, a carico della parte formalmente vittoriosa che non è comparsa o che ha rifiutato ragionevoli proposte conciliative. Se il tentativo riesce, il verbale di conciliazione costituisce titolo esecutivo anche per la consegna di cose mobili o il rilascio di immobili, nonché per l’esecuzione di obblighi di fare e non fare”.
Nel mondo accademico e dottrinario si sono sollevate non poche critiche in riferimento alla procedura or ora descritta. Per alcuni, la proposta conciliativa formulata nell’istanza di fissazione dell’udienza o nella nota di precisazione delle conclusioni da una delle parti (si veda l’art. 9, 2° comma), potrebbe in un certo senso “orientare” il convincimento dell’autorità giudicante, anche in ordine ai provvedimenti istruttori da adottare nel caso concreto che la occupa. V’è di più, qualora l’attore rifiuti le proposte conciliative dell’altra parte, nell’ipotesi in cui la domanda accolta non sia “lontana” dalla proposta rifiutata, il giudice potrebbe essere indotto a condannare alle spese l’attore parzialmente vittorioso, nonostante il convenuto debitore non abbia mai pagato quanto dovuto.
5.2. La conciliazione societaria stragiudiziale e i requisiti degli
organismi deputati alla gestione della conciliazione
In tema di conciliazione commerciale stragiudiziale, l’art. 12 della l. 3 ottobre 2001, n. 366, 4° comma, aveva sancito che “il Governo è delegato a prevedere forme di conciliazione delle controversie civili in materia societaria anche dinanzi ad organismi istituiti da enti privati, che diano garanzie di serietà ed efficienza e che siano iscritti in un apposito registro tenuto presso il Ministero di giustizia”.
Il Titolo VI° del D. Lgs. in esame (artt. 38-40) è dedicato interamente alle ipotesi di conciliazione stragiudiziale, in cui il tentativo di conciliazione precede un eventuale giudizio ed è gestito da un ente terzo (rispetto alle parti in lite), pubblico (es. CCIAA) o privato. L’art. 38 ha previsto l’istituzione di tali organismi deputati alla gestione dei tentativi di conciliazione, che devono necessariamente dare “garanzie di serietà ed efficienza”. Tali enti dovranno essere iscritti in un apposito registro tenuto presso il Ministero della giustizia. Al fine di tale iscrizione gli enti suddetti dovranno dimostrare di avere requisiti di professionalità, serietà ed efficienza che sono stati evidenziati dal Decreto del Ministero della giustizia 23 luglio 2004, n. 222, “Regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione nonché di tenuta del registro degli organismi di conciliazione di cui all'articolo 38 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5”[8].
Di diritto in tale elenco potranno essere iscritte, previa semplice richiesta, tutte le Camere di Commercio che, in base all’articolo 4 della legge 29 dicembre 1993, n° 580, abbiano già costituito organismi di conciliazione operanti nel proprio territorio di riferimento. Per gli altri enti, sarà necessaria una verifica della professionalità ed efficienza ed in particolare verrà controllata: a) la forma giuridica ed il grado di autonomia; b) la consistenza dell’organizzazione di persone e di mezzi, con l’obbligo di produzione da parte dell’istante di una polizza assicurativa di importo non inferiore a 500.000 euro; c) i requisiti di onorabilità dei soci, associati, amministratori o rappresentanti; d) la trasparenza amministrativa e contabile dell’ente stesso; e) le garanzie di indipendenza, imparzialità e riservatezza; f) il numero dei conciliatori[9]; g) la sede dell’ente richiedente. I conciliatori, inoltre, dovranno essere stati espressamente formati in maniera professionale tramite la partecipazione a corsi di formazione. Possono, invece, essere accreditati direttamente i professori universitari in discipline economiche o giuridiche o i professionisti iscritti ad albi professionali nelle medesime materie con anzianità di iscrizione di almeno quindici anni, ovvero i magistrati in quiescenza. E’ previsto anche che i conciliatori debbano possedere determinati requisiti di onorabilità espressamente riportati all’articolo 4 del DM in questione.
5.3. Il favor legislativo per la conciliazione stragiudiziale
Il favor, che il legislatore della riforma ha previsto per il tentativo di conciliazione di dispute societarie, si trova espresso in alcune disposizioni c.d. “premiali” di carattere fiscale che prevedono che “tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento di conciliazione sono esenti dall’imposta di bollo e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie o natura. Il verbale di conciliazione è esente dall’imposta di registro entro il limite di valore di venticinquemila euro” (art. 39, 1° e 2° co.).
Rappresenta sicuramente un forte incentivo anche la disciplina, di cui all’art. 40, 8° co., per cui qualora la conciliazione riesca, il verbale redatto, sottoscritto dalle parti e dal conciliatore, previo accertamento della regolarità formale, viene omologato con decreto del Presidente del Tribunale nel cui circondario ha sede l’ente che ha gestito la conciliazione stessa, costituendo“titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione in forma specifica e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale”.
Al fine di incentivare l’utilizzo della conciliazione in ambito societario il legislatore ha poi previsto delle disposizioni, contenute nell’art. 40, 2° e 5° co., che mirano a scoraggiare gli atteggiamenti per così dire “ostili” delle parti alla conciliazione.
Infatti, la mancata comparizione di una delle parti e le posizioni assunte dalle stessedavanti al conciliatoresaranno oggetto di valutazione ad opera del giudice del successivo giudizio “ai fini della decisione sulle spese processuali,anche ai sensi dell’articolo 96 del codice di procedura civile”. Secondo quest’ultimo articolo, quando risulti che la parte soccombente abbia agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell’altra parte, la condanna alle spese e al risarcimento dei danni, da liquidarsi nella sentenza. In aggiunta, anche per la conciliazione stragiudiziale, come per quella giudiziale, “il giudice, valutando comparativamente le posizioni assunte dalle parti e il contenuto della sentenza che definisce il processo dinanzi a lui, può escludere, in tutto o in parte, la ripetizione delle spese sostenute dal vincitore che ha rifiutato la conciliazione, e può anche condannarlo, in tutto o in parte al rimborso delle spese sostenute dal soccombente”.
Critiche sulla legittimità costituzionale di tale ultima norma, così come per quella contenuta nell’art. 16, 2° comma, sono state sollevate da alcuni primi commentatori. Questi ultimi non riterrebbero giusto addossare le spese del giudizio alla parte risultata vincitrice se non nell’ipotesi in cui quest’ultima avesse contravvenuto all’obbligo di comportarsi secondo lealtà e probità in corso di giudizio, ex articolo 88 c.p.c.. Nel modo stabilito dalle nuove norme societarie, infatti, verrebbe ad essere modificato il concetto di “soccombenza in giudizio” per il quale, eccezion fatta per le ipotesi in cui il giudice provveda alla compensazione delle spese qualora la parte ingiustificatamente non accetti le proposte transattive dell’altra, la parte soccombente è condannata al pagamento delle spese processuali.
In caso di mancata conciliazione, poi, il conciliatore dovrà formulare una sua proposta di accordo, ma soltanto nell’ipotesi in cui “entrambe le parti lo richiedono”.
Nel precedente testo - prima che lo stesso fosse modificato, a seguito delle critiche e delle richieste degli esperti del settore, dal Decreto Legislativo 6 febbraio 2004, n° 37 - era sancito che, in caso di mancato accordo conciliativo, il procedimento si sarebbe dovuto concludere con una proposta del conciliatore rispetto alla quale le parti avrebbero dovuto indicare “la propria definitiva posizione”,ovvero le condizioni alle quali le stesse fossero state disposte a conciliare. Della proposta del conciliatore, della posizione delle parti e della loro ultima offerta conciliativa si sarebbe redatto verbale, con possibilità per ciascuna parte di poterlo produrre nel successivo giudizio. Tale iter procedimentale era sicuramente nuovo per l’ambito della conciliazione perché il conciliatore, qualora le parti non si fossero conciliate, avrebbe comunque obbligatoriamente dovuto formulare una sua proposta di conciliazione, contravvenendo alla natura stessa del suo ruolo, che lo vede terzo equidistante e facilitatore delle parti e non organo giudicante, così come invece è, per sua stessa natura e funzione, un giudice o un arbitro.
5.4. Il procedimento di conciliazione stragiudiziale
Con l’art. 40, 3° si dispone che il procedimento di conciliazione debba onorare l’importante requisito della confidenzialità più completa: le dichiarazioni rese dalle parti nel corso del procedimento di conciliazione, salvo che per gli effetti in ordine alle spese, non possono essere utilizzate in giudizio, né possono formare oggetto di prova testimoniale.
Il 4° comma prosegue poi con una disciplina di favore per chi utilizza il procedimento di conciliazione, perché dal momento della comunicazione alle altre parti dell’istanza di conciliazione proposta agli organismi che gestiscono il procedimento conciliativo, sono interrotti i termini di prescrizione e “l’istanza di conciliazione (…) produce sulla prescrizione i medesimi effetti della domanda giudiziale”. La normativa prevede anche l’interruzione dei termini di decadenza, di modo che, qualora il tentativo di conciliazione fallisca, il termine inizi nuovamente a decorrere dal giorno del deposito del verbale di mancata conciliazione nella segreteria dell’organismo di conciliazione.
Per il modo stesso con cui è stato previsto all’interno della riforma del diritto societario il ricorso al tentativo di conciliazione, può ben dirsi che il legislatore non abbia disatteso i desideri di quanti vedano nella conciliazione stessa un procedimento squisitamente volontaristico e non obbligatorio, con una sola eccezione contenuta nell’articolo 40, co. 6. In tale comma, infatti, è prevista l’unica ipotesi di tentativo c.d. “obbligatorio” di conciliazione, qualora una clausola conciliativa sia stata inserita ed espressamente prevista nel contratto o nello statuto societario. In tal caso, se una parte abbia proposto direttamente la domanda giudiziale, non avendo preliminarmente esperito il tentativo di conciliazione previsto dal contratto o dallo statuto, il giudice, su istanza della parte interessata da proporsi nella prima difesa, disporrà la sospensione del procedimento pendente davanti a lui, stabilendo un termine, compreso tra trenta e sessanta giorni, per dar modo alle parti di depositare l’istanza di conciliazione ad un organismo di conciliazione o a quell’organismo che sia stato indicato. Nel caso in cui l’istanza di conciliazione non sia stata depositata nel termine fissato il processo potrà essere riassunto dalla parte interessata. Qualora, invece, il tentativo non riesca, dovrà essere allegato il verbale di fallita conciliazione all’atto di riassunzione.“In ogni caso - si prevede in chiusura della norma - la causa di sospensione si intende cessata, a norma dell’art. 297, primo comma, del codice di procedura civile, decorsi sei mesi dal provvedimento di sospensione”.
Nel caso in cui la conciliazione vada a buon fine sarà redatto un verbale di avvenuta conciliazione, sottoscritto sia dalle parti che dal conciliatore, che dovrà essere accertato nella sua regolarità formale dal Presidente del Tribunale nel cui circondario ha la propria sede l’ente di conciliazione. Tale autorità, cioè, dovrà controllare la regolarità della proposta e dell’accettazione e la presenza della sottoscrizione del verbale ad opera delle parti e del conciliatore. Successivamente, la medesima autorità procederà, con decreto, all’omologazione del suddetto verbale che acquisterà efficacia di titolo esecutivo ai fini della espropriazione forzata, dell’esecuzione in forma specifica e dell’iscrizione di ipoteca giudiziale.
6. I vantaggi della conciliazione
Una volta esaurita la breve panoramica sulle varie normative inerenti la conciliazione, ci preme esaminare quali siano i vantaggi concretamente ascrivibili ad un procedimento di “conciliazione stragiudiziale professionale”.
6.1. La professionalità dei conciliatori
Preliminarmente occorre che si spieghi il perché di quell’aggettivo “professionale”.
Il procedimento di conciliazione e l’attività del conciliatore non si inventano; conciliatori non si diventa per caso, o meglio, non tutti coloro che sono avvezzi a gestire controversie sono in grado ex se di poter gestire una conciliazione.
E’ per questo che diventa momento fondamentale per gli imprenditori, per i consumatori e per tutti i possibili fruitori del servizio di conciliazione, sapere che i conciliatori accreditati presso enti camerali o presso enti privati devono aver seguito almeno un corso di tecniche di conciliazione, appositamente strutturato, per l’acquisizione della professionalità atta a coadiuvare le parti durante gli incontri di conciliazione.
Quindi un primo vantaggio importante è quello dell’alto profilo professionale che troverà chi si accinge a richiedere che la sua controversia venga fatta oggetto di un tentativo di conciliazione, seppur con il comprensibile scetticismo di chi si appresta ad intraprendere un’attività nuova.
I conciliatori, d’altro canto, oltre a seguire le norme deontologiche proprie della professione che esercitano, sono tenuti a rispettare le norme di comportamento ispirate al codice deontologico approvato dall’U.I.A. (Unione Internazionale degli Avvocati) nella sessione 2 aprile 2003 ed adattate alla conciliazione amministrata dalle Camere di Commercio italiane[10].
Torniamo a parlare degli indiscussi vantaggi della conciliazione:
6.2. La soluzione è raggiunta dalle parti e non imposta da un terzo
Un indubbio beneficio offerto dalla conciliazione è la possibilità che hanno le parti di gestire in maniera autonoma il processo di risoluzione della controversia, consentendo alle parti stesse di mantenere un pressoché totale controllo sullo svolgimento del tentativo di conciliazione, avvalendosi anche dell’ausilio professionale di propri consulenti (avvocati, commercialisti, ecc…) che possono partecipare al tentativo di conciliazione a fianco del proprio cliente.
Il conciliatore, cioè, non avrà alcun potere decisionale (non essendo un giudice e non essendo un arbitro) e non dovrà in alcun modo forzare le parti nel prendere una decisione.
Il conciliatore scelto dalle parti, o, in mancanza, dall’ente che gestisce il tentativo di Conciliazione, è un professionista neutrale ed indipendente rispetto alle parti stesse, con il compito di coadiuvare queste ultime a ricercare una soluzione che ponga termine alla loro disputa, con reciproca soddisfazione dei loro interessi. Semmai lo stesso conciliatore potrà dare un suo parere squisitamente professionale, ma solo se richiesto in tal senso dalle parti.
Un esempio di ciò si trova, come si è precedentemente riportato, nel testo riformato del d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, in materia societaria, dove è previsto che, in caso di mancata conciliazione tra le parti, il conciliatore dovrà formulare una sua proposta di accordo alle parti stesse soltanto nell’ipotesi in cui “entrambe le parti lo richiedono”.
6.3. Controllo sul risultato della procedura
Con la conciliazione le parti potranno raggiungere le soluzioni che soddisfino maggiormente gli effettivi interessi (economici e non) di ognuna, non essendo vincolate al principio processuale della domanda.
Poiché sono le parti stesse a scegliere la migliore via di soluzione per risolvere la loro lite, tale soluzione potrà non basarsi solo su diritti ed obblighi reciproci, ma potrà adattarsi alle reali esigenze economiche e commerciali delle parti, anche mediante un accordo che si discosti dalle loro originarie posizioni (cosa che non è solitamente possibile in un giudizio ordinario), ed anche con una soluzione creativa di componimento della loro disputa e di soddisfazione dei propri interessi.
Non sono possibili dinamiche di forza e di potere perché il consenso sostituisce la forza: la cooperazione delle parti prescinde dal potere della forza.
Anche in caso di mancato accordo, peraltro, l’aver partecipato ad un tentativo di risoluzione stragiudiziale porta le parti ad una conoscenza tale della propria disputa, da risultare fondamentale in caso di successivo giudizio. A volte, poi, le parti riescono comunque a risolvere parte della propria controversia in conciliazione, lasciando il “non risolto” alle aule dei tribunali.
6.4. Tempi rapidi di soluzione
La durata media di un procedimento di conciliazione è di 38 giorni[11]. Di solito gli incontri, ovvero le sessioni di conciliazione, durano mediamente non più di due giorni consecutivi (anzi alcuni regolamenti di organi che gestiscono le conciliazioni auspicano, normalmente, che la conciliazione possa concludersi in un solo giorno): naturalmente ciò non significa che tra un incontro ed un altro non possa intercorrere un certo lasso di tempo.
6.5. Costi contenuti e prevedibili
Oltre a contenere i tempi, la procedura di conciliazione permette un indubbio vantaggio economico. Di solito, per le conciliazioni in Camera di commercio sono stabiliti dei costi fissi (non previsti quando: una delle parti sia un utente o un consumatore; il tentativo sia previsto come obbligatorio dalla legge; la domanda di conciliazione sia presentata congiuntamente dalle parti) e dei costi variabili, contenuti in una tabella, uguale per tutte le Camere di commercio italiane. Le parti, quindi, sanno praticamente da subito quanto andranno a spendere per il tentativo di conciliazione che le occupa (salvo il caso in cui, per la particolare complessità della materia del contendere, sia necessario il parere di consulenti esperti della materia, allorché le spese affrontate per la consulenza tecnica costituiranno un surplus da pagare ad opera delle parti, di solito diviso al 50% ciascuno).
6.6. Attenzione agli interessi profondi
Il conciliatore, a differenza di un giudice o di un arbitro (costretti dal poco tempo a disposizione e da norme procedurali schematiche e tecniche) potrà, anzi dovrà concentrarsi su elementi importantissimi in una disputa come “le emozioni”, le “paure” e le “aspettative” delle parti in lite; ciò per favorire il nascere di soluzioni negoziate nuove e soddisfacenti al massimo tutte le parti: in un’ottica “win-win” (in cui tutti possono ottenere il massimo di soddisfazione possibile), cioè in un ottica di creare soluzioni innovative “a somma positiva” in cui tutte le parti siano soddisfatte nei propri interessi, e non “win-lose” (che invece è caratteristica quasi sempre presente nei procedimenti ordinari o arbitrali e nelle negoziazioni o transazioni che numerose vengono esperite negli studi dei professionisti).
Per raggiungere un cotale risultato, a tutto vantaggio delle parti, il conciliatore potrà avvalersi della facoltà di incontrare le parti separatamente (in incontri singoli del tipo face to face).
Proprio per questo la conciliazione aiuta a conservare le relazioni commerciali ed interpersonali tra le parti in maniera più efficiente di quanto avvenga con l'arbitrato o con il processo: con un buon accordo di conciliazione non solo si mantengono le relazioni tra le parti ma in un’alta percentuale di casi esse migliorano, a tutto beneficio delle parti stesse che traggono un vantaggio economico-relazionale non indifferente alla prosecuzione ottimale del rapporto.
6.7. Riservatezza
Un altro vantaggio favorevole alle parti di una conciliazione è la riservatezza e la confidenzialità che permea tutto il procedimento di conciliazione: l’esito della procedura e, se del caso, anche l’avvenuto svolgimento della stessa, restano segreti e non accessibili ad alcuno.
Questo indubbio vantaggio permette alle parti di non evidenziare pubblicamente l’insorgenza e/o l’esistenza di una disputa che potrebbe, a volte, ritorcersi contro le stesse in termini di perdita di immagine sul mercato, cattiva pubblicità ed anche perdita di clientela.
Tutto ciò perché tutte le parti presenti al tentativo di conciliazione (incluso naturalmente il conciliatore e l’eventuale funzionario che espleta funzioni di segreteria) sono tenute a non rivelare alcuna informazione appresa nel corso del suddetto tentativo.
Oltretutto il conciliatore non potrà svelare ad alcun altra parte le informazioni ottenute confidenzialmente dall’altra, senza l’avallo preventivo della parte che gliele ha rivelate.
La riservatezza è quindi un’importante, oserei dire a volte “vitale”, caratteristica di un procedimento conciliativo: mentre è quasi sempre assente in un procedimento ordinario civile che, per sua natura, è pubblico.
Ad esempio l’art. 40, 3° del d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 sostiene con il suo dettato, come già ricordato, la segretezza più completa del procedimento conciliativo, a vantaggio delle parti, sancendo che le dichiarazioni rese dalle parti nel corso del procedimento di conciliazione, salvo che per gli effetti in ordine alle spese, non possono essere utilizzate in giudizio, né possono formare oggetto di prova testimoniale.
6.8. Assenza di rischio
Non c’è alcun rischio di incappare in problematiche legate all’eventuale mancata conciliazione delle parti, perché il procedimento è volontario. Ciò sta a significare che in qualunque momento, e tanto più in caso di mancato raggiungimento di un accordo conciliativo, le parti, anche disgiuntamente, possono decidere di abbandonare il tavolo delle “trattative conciliative”[12] mantenendo il diritto di ricorrere alle forme tradizionali di giustizia.
Il tentativo di conciliazione, cioè, non implica una preventiva rinuncia alle vie giudiziarie che potranno essere adite liberamente nel caso di infruttuoso tentativo.
Tutta la procedura di conciliazione, inoltre, è caratterizzata da informalità: all’infuori del rispetto del regolamento di conciliazione dell’ente che gestisce il tentativo e del non compiere atti contrari alla legge, non vi sono altre regole procedurali che sono, invece, presenti in un giudizio ordinario o in un procedimento arbitrale.
6.9. Accordo di conciliazione
Il testo dell'accordo raggiunto al termine della procedura conciliativa, ossia il verbale di raggiunta conciliazione, è scritto direttamente dalle parti, con l’ausilio solo “tecnico” del conciliatore, sicché queste possono prevedere clausole penali o risolutive in ipotesi di inadempimento. Tale verbale è vincolante per le parti alla stregua di un contratto liberamente concluso.
Alcuni studi specialistici svolti in Gran Bretagna hanno accertato un tasso di esecuzione degli obblighi assunti in procedure conciliative pari al 95 %.
Naturalmente il terzo conciliatore potrà aiutare le parti a fissare i termini di un accordo che soddisfi i loro reciproci interessi, sicché un'intesa raggiunta su tali basi difficilmente verrà disattesa e violata.
Il legislatore, inoltre, come precedentemente si è esaminato, è intervenuto con alcune disposizioni normative anche per stabilire la valenza esecutiva del verbale di avvenuta conciliazione.
7. Provare per credere
In conclusione, ci si deve convincere che l’unico modo per poter eliminare quel velo di scetticismo che comprensibilmente si ha, quando per la prima volta si sente parlare di conciliazione, sia quello di provarla. Non c’è altro sistema, per poter apprezzare la validità della conciliazione, che quello di vedere soddisfatti i propri interessi in tempi brevi con costi predeterminati e bassi e con i vantaggi derivanti dall’aver risolto una controversia in maniera da aver ottenuto il massimo di soddisfazione possibile.
E’ anche auspicabile e consigliabile, per le aziende e gli imprenditori che abbiano compreso il valore ed i vantaggi derivanti da un tentativo di conciliazione, l’inserimento di clausole conciliative nei loro statuti e nei contratti, che mano a mano verranno da essi stipulati con fornitori, clienti, grossisti, e tutti i soggetti che ruotano intorno all’impresa e che partecipano allo sviluppo della sua economia, sebbene, chiaramente, possano promuovere un tentativo di conciliazione anche i soggetti che non abbiano nei propri atti cotali previsioni.
[1] Già S. Paolo (1 Corinzi, 6: 1-4) diceva: “[1]V'è tra voi chi, avendo una questione con un altro, osa farsi giudicare dagli ingiusti anziché dai santi? [2]O non sapete che i santi giudicheranno il mondo? E se è da voi che verrà giudicato il mondo, siete dunque indegni di giudizi di minima importanza? [3]Non sapete che giudicheremo gli angeli? Quanto più le cose di questa vita! [4]Se dunque avete liti per cose di questo mondo, voi prendete a giudici gente senza autorità nella Chiesa? [5]Lo dico per vostra vergogna! Cosicché non vi sarebbe proprio nessuna persona saggia tra di voi che possa far da arbitro tra fratello e fratello? [6]No, anzi, un fratello viene chiamato in giudizio dal fratello e per di più davanti a infedeli! ”.
[2] Per tradizione, però, si tende a far risalire la data della nascita delle ADR in America ad un convegno del 1906 della American Bar Association, in cui fu tenuta dall’insigne Roscoe Pound una relazione intitolata “The Causes of Popular Dissatisfaction with the Administration of Justice”. Per maggiori informazioni: www.law.du.edu/sterling/Content/ALH/pound.pdf.
[3] Sono molte le previsioni del legislatore italiano di tentativi di conciliazione nei codici: art. 92, III° co., c.p.c. (spese compensate in caso di conciliazione); artt. 183, I° co., e 185, I° co., c.p.c. (conciliazione giudiziale, giudice istruttore); artt. 198, I° co. e ss. c.p.c. (conciliazione per documenti contabili, consulente tecnico); artt. 320 e 322 c.p.c. (conciliazione in sede contenziosa e non, giudice di pace); art. 350, III° co., c.p.c. (conciliazione alla trattazione dell’appello, collegio); artt. 410 e ss. c.p.c. (conciliazione delle controversie di lavoro, Uff. Prov. Lavoro - sindacato); art. 652 c.p.c. (conciliazione nel giudizio di opposizione, ordinanza del giudice); artt. 708, I° co., e 711, I° co., c.p.c. (conciliazione nella separazione, presidente del tribunale). Anche numerose leggi contengono rinvii alla conciliazione: Testo Unico di Pubblica Sicurezza, art. 1 (composizione dissidi privati, ufficiali di PP.SS.);Legge 02/03/1963, n. 320 (disciplina delle controversie innanzi alle Sezioni specializzate agrarie);Legge 1 dicembre 1970, n. 898 (disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio, presidente del tribunale); Legge 03/05/1982, n. 203 (norme sui contratti agrari); Legge 11 maggio 1990, n. 108 (disciplina dei licenziamenti individuali); Legge 12/06/1990n. 146, artt. 8 e 13 (norme sull'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati); D. lgs 31/12/1992. n. 546, art. 48 (disposizioni sul processo tributario);D. lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 (razionalizzazione dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego); Legge 11 febbraio 1994, n. 109 (in materia di lavori pubblici); Legge 22/07/1997, n. 276 (disposizioni per la definizione del contenzioso civile pendente: nomina di giudici onorari aggregati e istituzione delle sezioni stralcio nei tribunali ordinari); Legge n. 366/01, art.12, 4°Co. (nelle controversie societarie); D.lgs. n. 5/03, Art. 38-40 (nelle controversie di diritto societario e bancario); Legge 6 maggio 2004, n. 129 (norme per la disciplina dell’affiliazione commerciale). Molte leggi prevedono, come si vedrà più avanti nel testo, ipotesi di tentativi di conciliazione presso le Camere di commercio: Legge n. 580/93, art. 2, IV co. (facoltà di istituire i servizi di conciliazione); Legge n. 192/98, art. 10, I co. (tentativo di conciliazione obbligatorio nelle controversie di subfornitura);Legge n. 281/98, art. 3, II-IV co. (tentativo di conciliazione facoltativo a tutela del consumatore – utente);Legge n. 135/01, art 4, III co. (tentativo di conciliazione facoltativo nelle controversie sui servizi turistici);D.lgs. n. 5/03, artt. 38-40 (tentativo di conciliazione nelle controversie di diritto societario e bancario).
[4] L’art. 2, comma 4, sancisce tra l’altro che “Le camere di commercio, singolarmente o in forma associata, possono tra l’altro: a) Promuovere la costituzione di commissioni arbitrali e conciliative per la risoluzione delle controversie tra imprese e tra imprese e consumatori e utenti”.
[5] L’art. 10 della legge in questione recita: “… 1. Entro trenta giorni dal termine di cui all’articolo 5, comma 4, le controversie relative ai contratti di subfornitura di cui alla presente legge sono sottoposte al tentativo obbligatorio di conciliazione presso la camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura nel cui territorio ha sede il subfornitore, ai sensi dell’articolo 2, comma 4, lettera a) della legge 29 dicembre 1993, n. 580. 2. Qualora non si pervenga ad una conciliazione fra le parti entro trenta giorni, su richiesta di entrambi i contraenti la controversia è rimessa alla commissione arbitrale istituita presso la camera di commercio scelta dai contraenti. 3. Il procedimento arbitrale, disciplinato secondo le disposizioni degli articoli 806 e seguenti del codice di procedura civile, si conclude entro il termine massimo di sessanta giorni a decorrere dal primo tentativo di conciliazione, salvo che le parti si accordino per un termine inferiore”.
[6] Organizzazioni, queste ultime, che siano inserite in un apposito elenco di enti legittimati a proporre azioni di tipo inibitorio con riferimento a comportamenti che siano lesivi degli interessi collettivi dei consumatori.
[7] E’ pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 22 gennaio 2003, n. 17.
[8] E’ pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 23 agosto 2004, n. 197.
[9] Che non deve essere inferiore a sette conciliatori, che abbiano dichiarato di essere disponibili a svolgere le proprie funzioni di conciliazione in via esclusiva per l’ente richiedente.
[10] Tali norme stabiliscono che: “1) Il conciliatore deve essere formato adeguatamente e deve mantenere ed aggiornare costantemente la propria preparazione in tecniche di composizione di conflitti. Il conciliatore deve rifiutare la nomina nel caso in cui non si ritenga qualificato. 2) Il conciliatore deve comunicare qualsiasi circostanza che possa inficiare la propria indipendenza e imparzialità o che possa ingenerare la sensazione di parzialità o mancanza di neutralità. Il conciliatore deve sempre agire, e dare l’impressione di agire, in maniera completamente imparziale nei confronti delle parti e rimanere neutrale rispetto alla lite. Il conciliatore ha il dovere di rifiutare la designazione e di interrompere l’espletamento delle proprie funzioni, in seguito all’incapacità a mantenere un atteggiamento imparziale e/o neutrale. 3) Il conciliatore deve assicurarsi che, prima dell’inizio dell’incontro di conciliazione, le parti abbiano compreso ed espressamente accettato: le finalità e la natura del procedimento di conciliazione; il ruolo del conciliatore e delle parti; gli obblighi di riservatezza a carico del conciliatore e delle parti. 4) Il conciliatore deve svolgere il proprio ruolo con la dovuta diligenza, indipendentemente dall’importo e dalla tipologia della controversia. 5) Il conciliatore non deve esercitare nessuna pressione sulle parti. 6) Il conciliatore deve mantenere riservata ogni informazione che emerga dalla conciliazione o che sia ad essa correlata, incluso il fatto che la conciliazione debba avvenire o sia avvenuta, salvo che non sia altrimenti previsto dalla legge o da motivi di ordine pubblico. Qualsiasi informazione confidata al conciliatore da una delle parti non dovrà essere rivelata alle altre parti senza il consenso della parte stessa e sempre salvo che riguardi fatti contrari alla legge”.
[11] Fonte: Unioncamere.
[12] Una disciplina differente, come già visto, si trova invece nelle ipotesi conciliative previste dal D. Lgs. 5 del 2003.
La conciliazione stragiudiziale professionale - negoziato assistito *
di Alessandro Bruni – avvocato, arbitro, conciliatore
La gestione del contenzioso presso i Tribunali italiani è notoriamente in grave crisi: enti e aziende che affrontano cause civili ordinarie devono preventivare tempi lunghi, costi elevati e decisioni che spesso sono lontane dal caso concreto e sono soggette a impugnazioni.
Risolvere le controversie negoziando con la controparte è certamente preferibile, per risparmiare tempo e denaro e ristabilire relazioni compromesse. Per negoziare efficacemente o si dispone di risorse adatte, potenziate con approfondimenti teorici e pratici, o si chiede l'intervento di terzi neutrali ed imparziali, competenti nella facilitazione di negoziazioni altrui: i conciliatori o mediatori (distinti da giudici conciliatori o arbitri – che comunque giudicano – e mediatori d'affari).
I paesi anglosassoni hanno sviluppato da decenni tale tipo di approccio alla soluzione delle controversie, che loro chiamano ADR - Alternative Dispute Resolution- e che registra tassi di successo elevatissimi: fonti inglesi ( ADR Group, Centre for Dispute Resolution ) parlano dell'80-90% di soluzioni raggiunte in tempi brevissimi, da uno a due mesi al massimo, con tassi altrettanto elevati di rispetto degli accordi, perché fondati sulla convenienza reciproca delle parti. Anche in caso di mancato accordo, l'aver partecipato ad un tentativo di risoluzione alternativa porta ad una conoscenza tale della propria controversia, da risultare fondamentale in caso di successivo giudizio.
Sulla spinta di tale successo anche l'Unione Europea e diversi paesi hanno stimolato interventi legislativi ed hanno regolamentato le principali caratteristiche dei procedimenti di negoziazione assistita o conciliazione o mediazione.
In Italia il legislatore ha chiesto alle Camere di Commercio di istituire i servizi di conciliazione delle controversie tra imprese e consumatori e tra imprese, inoltre si sono sviluppate diverse esperienze nella prassi: dalla conciliazione Telecom all'Ombudsman bancario, all'accordo ANIA-Associazioni consumatori, alla conciliazione di Poste Italiane. La conciliazione stragiudiziale professionale, gestita da soggetti privati si sta recentemente affermando anche nel nostro Paese come modalità alternativa di soluzione delle controversie civili e commerciali per deflazionare l'enorme mole di contenzioso che pesa sui tribunali italiani, introducendo il ricorso ad una modalità di soluzione delle controversie in cui la decisione delle stesse, ovvero l'accordo che compone la lite, discende dalle parti le quali, per raggiungere tale risultato, si avvalgono della competenza di un terzo professionista neutrale ed imparziale: il conciliatore.
Prova ne sono le leggi emanate negli ultimi anni che configurano la conciliazione stragiudiziale presso le Camere di Commercio in alcuni casi obbligatoriamente (Legge 18 giugno 1998 n. 192, “Disciplina della subfornitura nelle attività produttive”), in altri casi facoltativamente (Legge 30 luglio 1998, n. 281, "Disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti"), come passaggio antecedente – rispetto alla possibilità di adire il giudice ordinario – che consenta di raggiungere una soluzione in grado di soddisfare gli interessi di entrambe le parti, in tempi brevi e costi contenuti.
A tali conciliatori la legge non attribuisce il potere di decidere dell'esito della controversia, ripartendo torti e ragioni e sanzionando i colpevoli, ma riconosce implicitamente la competenza di tipo interdisciplinare (comunicativa, psicologica, giuridica, economica), della quale le parti si serviranno per tentare di risolvere la loro disputa e negoziare anche nuovi rapporti, formalizzando il tutto in un nuovo contratto col valore di una transazione.
Esempi di applicazione del tentativo di conciliazione.
☺ Rapporti con i clienti: negoziare o conciliare le controversie con i clienti significa non perderli, non subire pubblicità negativa e recuperare somme anche da crediti quasi inesigibili.
☺ Rapporti con i fornitori: negoziare o conciliare le controversie con i fornitori significa mantenere dei legami comunque necessari all'azienda e migliorarli laddove sia possibile.
☺ Rapporti con i collaboratori: negoziare o conciliare (con formalizzazione finale presso l'ufficio provinciale del lavoro) le controversie con i propri collaboratori significa evitare lunghe e costose trafile giudiziarie, quindi maggiore certezza e chiarezza per le politiche relative al personale.
☺ Rapporti familiari: è sempre più diffusa l'abitudine di ricorrere ad un mediatore familiare, in genere uno psicologo, per cercare di risolvere le controversie familiari, per riportare la serenità o, se questo non è possibile, cercare di accordarsi al meglio, per tutelare eventuali figli e per soddisfare i reciproci interessi, riducendo al minimo i sacrifici.
☺ Rapporti sociali: la conflittualità diffusa tra vicini di casa, quartieri, gruppi di culture ed etnie diverse è in costante aumento e, anche quando non giunge alle aule di tribunale, determina comunque malcontento, insoddisfazione e frustrazioni che si scaricano anche altrove, determinando costi indiretti per la collettività, anche in termini di non pacifica convivenza. Interventi di mediazione potrebbero far risparmiare questi costi e riportare una convivenza costruttiva.
Vantaggi
Indubbiamente i vantaggi che si traggono dall'utilizzo dei metodi di conciliazione sono innumerevoli:
☺ Risparmio di tempo e di denaro rispetto alle procedure contenziose ordinarie (normalmente in un paio di mezze giornate il caso si concilia ed i costi si sanno in anticipo).
☺ Approfondimento di tutti gli aspetti coinvolti nelle problematiche, mantenendo la riservatezza .
☺ Mantenimento del rapporto con l'altra parte e talvolta miglioramento dello stesso, quando è reciprocamente vantaggioso e conveniente .
☺ Si rimane protagonisti della soluzione del proprio caso, senza demandare a terzi la decisione o rendere per forza pubbliche le proprie questioni, come nel caso di un processo ordinario.
☺ Ci si può comunque avvalere del proprio legale o rappresentante di fiducia , che possono apportare il loro contributo di assistenza e consulenza “di parte”.
*articolo pubblicato sul portale giuridico http://www.overlex.com/leggiarticolo.asp?id=975
Anche in Italia, oramai, sta prendendo sempre più piede la consapevolezza della necessità di poter risolvere le controversie insorgenti o insorte tra soggetti tramite il ricorso a metodi “alternativi” alla giustizia ordinaria. Ci si riferisce anzitutto, e soprattutto, al tentativo di conciliazione, che si inserisce a pieno titolo tra i metodi di risoluzione alternativa delle controversie (Alternative Dispute Resolution, ADR) e per il quale si cercherà di evidenziare quali siano gli innumerevoli vantaggi ad esso ascrivibili.
Sebbene nell’esperienza giuridica italiana il tentativo di conciliazione sia presente in vari settori, sia come obbligatorio e “ante causam” (es: nel giudizio del lavoro), che come mera possibilità attribuita a determinati soggetti, la conciliazione delle controversie gestita dalle Camere di Commercio e dagli organismi privati presenti sul territorio italiano è procedimento ben diverso. Sono differenti il “setting” in cui si opera, le regole di procedimento, i professionisti chiamati a svolgere il tentativo di conciliazione, le tecniche utilizzate: in una parola questo tipo di conciliazione è peculiare rispetto ad ogni altro tipo di conciliazione che si trova all’interno dei nostri codici e delle nostre leggi.
La crisi della gestione della giustizia presso i Tribunali italiani è nota a tutti: enti e aziende che affrontano cause civili ordinarie devono mettere in preventivo tempi lunghi, costi solitamente elevati e decisioni che spesso non li gratificano abbastanza e che sovente sono soggette a impugnazioni.
La conciliazione che ci apprestiamo ad analizzare non rappresenta una scelta minore o in contrasto rispetto allo strumento giudiziario, ma è una scelta differente, di forte valore, anche per l’autorevolezza, l’indipendenza e la professionalità dei conciliatori.
Proviamo preliminarmente a darne una definizione: la conciliazione è una negoziazione facilitata che si svolge sotto il controllo di un terzo, il conciliatore, con lo scopo di guidare le parti al raggiungimento di un accordo satisfattorio per entrambe, con la auspicata possibilità di porre le stesse parti in una situazione migliore di quella in cui versavano in precedenza.
Risolvere le controversie negoziando con la controparte è di gran lunga preferibile, per risparmiare tempo e denaro e, da ultimo ma non ultimo, per ripristinare relazioni compromesse, con l’auspicio di un miglioramento per il futuro.
Per negoziare in maniera efficace si hanno solitamente due vie: o si dispone di risorse adatte, cioè di uno staff di negoziatori adeguatamente formati ed uffici di gestione del contenzioso che conoscano molto bene le tecniche di negoziazione più efficaci, oppure si chiede l’intervento di terzi neutrali ed imparziali, competenti nella facilitazione di negoziazioni altrui: i conciliatori o mediatori (distinti sia dai giudici che dagli arbitri – che comunque giudicano – ma anche dai mediatori d’affari).
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ARTICOLI, COMMENTI, RELAZIONI, NOTE dell’Avv. Alessandro Bruni:
· Conflict prevention: a new market for mediation centres? The experience of Concilia llc, relazione al Forum Mondiale di Centri di Mediazione, organizzato dalla Commissione Conciliazione e Prevenzione dei Conflitti dell’Unione Internazionale degli Avvocati (UIA), Milano, 28 e 29 Marzo 2008.
. La conciliazione stragiudiziale come soluzione avanzata rispetto alla negoziazione diretta, articolo di prossima pubblicazione sulla rivista trimestrale QUADERNI DI MEDIAZIONE, Punto di Fuga Editore, Cagliari.
· La gestione costruttiva del conflitto attraverso la mediazione, articolo pubblicato sulla rivista trimestrale QUADERNI DI MEDIAZIONE,anno II, n. 5 - gennaio/marzo 2007, Punto di Fuga Editore, Cagliari.
· Conciliazione stragiudiziale. Un differente approccio alla risoluzione delle controversie commerciali, articolo pubblicato sulla rivista QUADERNI DI MEDIAZIONE, anno I, n. I – settembre/novembre 2005, Punto di Fuga Editore, Cagliari.
· La conciliazione delle controversie: un metodo antico con un cuore moderno, articolo pubblicato sulla rivista MEDIARES, semestrale sulla mediazione, n° 5/2005, gennaio-giugno.
· Remore e vantaggi della conciliazione, relazione al Convegno di Studi “Mediation Round. La conciliazione stragiudiziale delle controversie”, organizzato dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma – Centro Studi, congiuntamente alla Commissione per lo studio della conciliazione stragiudiziale, Aula Avvocati – Palazzo di Giustizia- Piazza Cavour, Roma, pubblicato sulla rivista giuridica “Temi Romana”, n° 1/2005.
· I metodi ADR nell’esperienza americana, articolo pubblicato sul portale giuridico Overlex.com all’indirizzo: http://www.overlex.com/leggiarticolo.asp?id=974.
· In tema di procedure A.D.R., articolo pubblicato su http://www.covalori.net/-_in_tema_di_procedure _A.D.R..htm.
· La conciliazione stragiudiziale professionale – negoziato assistito, articolo pubblicato sul portale giuridico Overlex.com all’indirizzo: http://www.overlex.com/leggiarticolo.asp?id=975.
· Procedure di A.D.R., articolo pubblicato sul portale della società Concilia srl all’indirizzo: http://www.concilia.it/concilia-adr/procedure.htm.
· Domande più frequenti sulla conciliazione stragiudiziale professionale, in Internet, consultabile sul portale http://www.concilia.it/faq.htm.
· I vantaggi della conciliazione - iter procedimentale (inizio, fasi, termine), relazione al Convegno di Studi su “Le soluzioni estragiudiziali ai conflitti: la conciliazione. L’approccio di convenienza, come criterio per la scelta non contenziosa”, organizzato dall’Associazione Giuristi ed Economisti d’Impresa Europei, Hotel Polo, Roma.
· La Conciliazione come servizio di risoluzione extragiudiziale delle controversie: vantaggi, relazione al Convegno di Studi su “Conciliazione, la strada più facile”, organizzato dalla Camera di Commercio I. A. A. di Viterbo nell’ambito della Settimana della conciliazione”,indetta da Unioncamere a livello nazionale.